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MARIO CERVIO GUALERSI, babilonia, 1990
TRE UOMINI IN CELLA
BABILONIA INCONTRA L'AUTORE DI "IMPICCATE IL PRESIDENTE", LO SPETTACOLO CHE HA SCANDALIZZATO L'INGHILTERRA BEN PENSANTE PER IL SUO CONTENUTO EROTICO, ORA ALLESTITO ANCHE IN ITALIA
La scorsa estate ci era giunta notizia del clamore suscitato da uno spettacolo presentato al festival di Edimburgo: si parlava di interrogazioni parlarmentari, i giornali di destra lanciavano strali contro la corruzione invocando la censura, parte del pubblico abbandonava inferocito la sala dove si svolgeva la rappresentazione. Responsabile di questo "caso artistico" era un giovane scrittore italiano, Michele Celeste, che vive e lavora a Londra da piu' di dieci anni.
Che cosa ha tanto turbato l'establishment britannico? Ancora una volta questioni di sesso. Questo Paese terribilmente puritano - che pero' nel privato tollera le trasgressioni piu' radicali - si e sentito offeso dalla rappresentazione in scena delle dinamiche tipiche dell'universo carcerario, cioe' scambi sessuali (la stampa tory citava "rapporti orali e anali, masturbazioni e orge") fra prigionieri, fra carcerati e secondini, ma con l'aggravante del tema razziale, vista la presenza in scena di un personaggio di colore.
"Impiccate il presidente" racconta l'ultima notte di vita di tre carcerati in attesa dell'esecuzione capitale nel Sudafrica dell'apartheid. Stoffel e Nak sono bianchi e uniti da un rapporto di coppia che li fa agire come marito e moglie con le inevitabili prevaricazioni che una situazione del genere comporta. II loro custode si invaghisce di uno dei due, cercando di trarne il proprio tornaconto e sfruttare Ia sua posizione di potere. A squilibrare questo m‚nage a tre arriva inaspettato un bellissimo ragazzo nero, condannato a morte e torturato dalla polizia. I due cercano di coinvolgerlo nel loro rituale, uno per il solo piacere sessuale, l'altro per fargli confessare i nomi dei compagni di lotta con la speranza di salvarsi Ia vita. Non possiamo dire altro, se non che lo spettacolo e di grande impatto emotivo e fara' discutere, ma lasciamo ai lettori il piacere di scoprirlo da soli. Nei mesi scorsi e' stato ripreso con successo a Londra ed e' stato contemporaneamente allestito a New York nel circuito off-Broadway ad opera del Soho theatre. Una volta tanto potremo vedere questo spettacolo anche in Italia, infatti sara presentato ai primi di ottobre nell'ambito del festival di Asti con la regia di Piero Maccarinelli e Pamela Villoresi; il merito va al teatro Niccolini di Firenze e al Teatro Due di Parma che produrranno "Impiccate il presidente".
Abbiamo pensato di incontrare Michele Celeste prima del debutto italiano del suo lavoro; di lui sapevamo soltanto che e' nato nel `52 in un piccolo paese della provincia di Foggia, ha vissuto a Firenze e si e' laureato in filosofia a Bari. Siamo andati a trovarlo nella sua casa nel cuore del quartiere di Brixton a Londra, famoso per l'altissima percentuale di immigrati caraibici e asiatici. Ecco il nostro colloquio, registrato nel suo piccolo giardino in un caldo pomeriggio londinese.
Domanda: Michele, ci puoi raccontare Ia tua storia e le circostanze che ti hanno portato a vivere in Inghilterra?
Risposta: Dai 20 ai 28 anni mi sono dedicato allo studio della chitarra classica, perche' con la musica non riuscivo a sfondare e avevo la necessita' di guadagnarmi da vivere, perche' vengo da una famiglia poverissima. Nel `79 con i miei risparmi pensai di trasferirmi a Londra per imparare bene l'inglese per poi tornare in Italia e cercare lavoro. Il mio arrivo a Victoria Station fu traumatico: nonostante i miei cinque anni di inglese scolastico nessuno mi capiva ne' rispondeva alle mie disperate richieste di informazioni. Ero al tempo stesso avvilito e furibondo: mi sentivo tradito dal sistema di insegnamento italiano, ma da vero Capricorno mi sono detto: "Non lascero' Londra finche' non sapro' perfettamente l'inglese!". Certo non immaginavo quanto sarebbe stato diflicile: e' una lingua che non puoi mai dire di parlare alla perfezione. Trovai facilmente lavoro come portantino in un ospedale qui a Brixton; lavoravo di notte e durante il giorno cercavo di educarmi e studiare da solo, senza frequentare alcuna scuola, tanto era stata forte ha delusione provata nei confronti dei miei insegnanti.
D.: Come hai iniziato la tua camera di drammaturgo?
R.: Tutto inizi" per caso. Entrando, in una biblioteca pubblica, vidi un bando di concorso per giovani autori teatrali esordienti e decisi di concorrere. Era la fine dell'81; scoppiarono i primi disordini razziali a Brixton ed ispirarono il mio lavoro che chiamai "Riot Party" (Festa per la sommossa). In Italia ero stato uno studente politicamente attivo e quindi il tema che avevo scelto mi era congeniale. Bench‚ del tutto ignorante dei meccanismi della scrittura teatrale, vinsi il primo premio sbaragliando concorrenti di molti Paesi: mi sembrava un sogno impossibile.
L'aspetto tragicomico di questa vicenda era che io avevo scritto il testo con il mia inglese imparato in due anni, cioe lo slang degli immigrati di origine caraibica, cosa che andava benissimo per il lavoro teatrale, ma creava enormi problemi nella comunicazione con la gente che, una volta venuta a conoscenza della mia origine italiana, non si tratteneva dal ridermi in faccia. Inoltre il nome Michele in inglese e' comunemente femminile - l'equivalente di Michelle in francese - quindi per il pubblico e la stampa era una donna di origine West-Indian e, considerato il tema del mio dramma, sicuramente lesbica.
Oggi ci scherzo, ma allora ero molto avvilito, perche', una volta appurata la realta' dei fatti, la critica non giudicava il mio lavoro, ma giudicava me, con una sorta di razzismo alla rovescia: non essendo ne' donna ne' nero non interessavo piu' e per giunta le compagnie teatrali per aver diritto ai finanziamenti governativi dovevano rappresentare testi di autori provenienti da minoranze etniche. Nella scelta degli spettacoli non si privilegiava quindi il talento, ma interessi economici e politici.
D.: Rispetto alla sfera sessuale quali sono state le tue reazioni venendo a contatto con una societa' e un modo di pensare molto diverso rispetto alla tua cultura ed educazione meridionale?
R.: Mi rendo conto adesso di quanto fossi reazionario e maschilista. Ad esempio sono cresciuto con la convinzione che gli omosessuali fossero persone cattive e dovessero essere puniti fisicamente, questo perch‚ nel mio ambiente socio-culturale il contatto con i gay era tassativamente vietato dalle istituzioni e dalla famiglia. Solo dieci anni fa al Sud l'omosessualita' era ancora qualcosa di terribile: l'omosessuale veniva considerato il male mcarnato o un "diavolo" da chi e religioso, comunque qualcuno da distruggere. Il ragazzo che non si sposa e non si fa una famiglia viene guardato con sospetto grazie ad un atteggiamento fascista e maschilista. Questo perch‚ non c'era alcuna forma di comunicazione con i gay, non avevamo occasione di conoscerci, di discutere: l'omosessualita' era tenuta ben nascosta; invece conoscendo le persone i pregiudizi cadono, quando impari a conoscere una persona diversa da te scopri che puo' incominciare a piacerti.
Ricordo un episodio accaduto durante la mia adolescenza: nella nostra cultura vigeva il tabu' della separazione del sessi e come puoi immaginare c'era molto sesso tra noi ragazzi: era bello e liberatorio andare nei campi e avere rapporti sessuali. Un giorno qualcuno riferi' a mio padre di avermi visto in quella situazione: lui per poco non mi ammazzo' di botte, dovettero fermarlo. Cosi' in me scatto' la proibizione, l'impossibilita' a ripetere quell'esperienze; so che per molti hanno rappresentato una fase transitoria verso l'eterosessualita; per quanto mi riguarda non so ancora quanto peso abbiano avuto rispetto alla mia scelta sessuale. Qui in Inghilterra non e' tutto cosi' facile come si pensa. Sicuramente i giovani, uscendo prestissimo dalla famiglia, godono di maggiore indipendenza e sfuggono al controllo sociale. Londra poi e' una realta' a se: la gente di ogni fede, gusto e provenienza ha molte possibilita' di incontro. Ci si puo' esporre senza il rischio di ritorsioni e si trova ii coraggio di fare cose che mai si farebbero nel propro paese.
Fra le persone che frequento ora ci sono gay, rifugiati politici e anche handicappati, persone che nel Sud Italia sono considerate di razza inferiore; l'idea dominante e quella che per il loro bene bisogna sopprimerle, non tenerle in vita a soffrire. Ed io purtroppo condividevo questa ideologia. Ora, frequentando la gente di teatro, sono entrato facilmente in contatto con la comunita' omosessuale ed ogni sera incontro amici gay che lavorano nell'ambito teatrale o in altri settori artistici e sto molto bene con loro.
D.: Qual`e' la tua impressione sull'incidenza del movimento gay nella societa' inglese degli anni Ottanta?
R.: Negli anni Ottanta tutte Le minoranze in Gran Bretagna hanno subito una forte regressione e perdita degli spazi conseguiti nel passato, ma per fortuna da parte loro si e' avuta una maggior presa di coscienza, come per i gay che ora sanno da che parte stare politicamente e sanno perfettamente quali sono i loro diritti. Il sistema e' riuscito a fare il vuoto intorno a se; la societa' condizionata dal potere politico a volte in maniera manifesta, a volte piu' sottilmente; la presa di coscienza puo' non trovare sbocchi pratici. C'e' gente che viene discriminata sul lavoro e nelIa carriera: se sei gay difficilmente potrai insegnare o lavorare con i giovani o ottenere sussidi governativi nel campo artistico. Questi sono i frutti della "Clause 28" che penso conosciate anche in Italia. Anche il teatro e' regredito di almeno dieci anni; molti autori si autocensurano, perch‚ hanno paura a scrivere su temi che mettano in discussione il sistema, sapendo che le compagnie non allestiranno mai i loro lavori a causa delle pressioni della censura e per il timore di perdere i finanziamenti.
D.: Ci parli di "Impiccate il presidente" e del tema che hai voluto affrontare in questo tuo testo?
B..: Volevo scrivere un testo ambientato in Sudafrica che trattasse il tema dell'apartheid e delle dinamiche sessuali dell'universo carcerario.
Ultimato il lavoro nei primi mesi dell'88 lo invio allo stesso concorso che avevo vinto con "Riot Party" e vinco anche questa volta. La giuria propone "Impiccate il presidente" a molte compagnie, ma nessuno vuole rischiare nel metterlo in scena, proprio a causa della "Clause 28". Finalmente ii Traverse Theatre, uno degli organismi teatrali piu' coraggiosi, decide di allestirlo per il Festival di Edimburgo dello scorso anno. Il mio intento e' quello di denunciare l'assurdita' dell'apartheid e la sua condanna attraverso personaggi bianchi che non avessero mai diviso nulla con una persona di colore, ma si trovano un giorno a dividere con lei l'attimo universale della morte. La separazione voluta dall'apartheid puo' essere letta metaforicamente come divisione fra eterosessuali e omosessuali, fra ebrei e nazisti, fra fanatici religiosi e atei...
D.: Perche' hai dato spazio ai rapporti sessuali che si intrecciano fra i detenuti e il guardiano, mentre il carcerato di colore non si fa coinvolgere nei loro violenti giochi?
R.: Non scrivo di cose che accadono nei salotti e quindi ho cercato di dare immagini forti. Le persone in carcere finiscono con l'imitare o reinventare la societ esterna: se fuori e considerato rispettabile avere una moglie, anche l'eterosessuale piu' convinto comincia a considerare il sue compagno di cella come possibile candidato a diventare sua moglie; l'uomo piu' forte fra i due si propone come marito e il rapporto comincia a costituirsi. Il piu' debole e' attratto dall'immagine della forza dell'altro, proprio a causa della ferocia del sistema carcerario che rappresenta in piccolo l'apartheid. Anche i ruoli sessuali seguono schemi di tipo eterosessuale e i due uomini che avrebbero sicuramente avuto reazioni violente nei confronti di un omosessuale all'esterno, nel chiuso della cella vogliono avere rapporti anche con il prigioniero di colore, avendo gia' coinvolto nel loro menage il guardiano che ha un debole per Stoffel, il maschio della situazione, piccolo capobanda e trafficante che con I'aiuto di una dose di droga entra nella parte del Presidente Botha. Stoffel tratta il compagno come tratterebbe una
donna o sua moglie: la loro non e' una relazione gay, ma presenta tutti gli stereotipi di una violenta relazione eterosessuale e il pubblico dovrebbe avvertire la relazione fra apartheid e misoginia. La figura del nero e' positiva nel suo silenzio che e' condanna; si rifiuta di cedere alle voglie dei compagni come non cede alle torture della polizia: morira' cantando l'inno del N.A.C.
D.: In Italia e arrivata l'eco del successo di "Impiccate il presidente", ma anche dello scandalo suscitato ad Edimburgo in una certa parte di critica e di pubblico. Cosa e successo veramente?
R.: La reazione piu' significativa e rapida e' stata quella di un parlamentare conservatore scozzese che, appellandosi alla "Clause 28", ha chiesto l'indomani della prima rappresentazione I'immediata sospensione dello spettacolo, dichiarando che certe cose non si possono -fare nemmeno nei parchi, figurarsi a teatro! Allora ho dovuto aggirare la legge - ormai abbiamo imparato come si fa - dichiarando pubblicamente che i personaggi del mio lavoro non sono assolutamente gay, ma sono spinti dalle circostanze e dalle loro ossessioni fasciste ad avere rapporti sessuali fra di loro. Ci e' andata bene. Molto divertente Š stata poi la protesta del primate della Chiesa di Scozia il quale, per metterci nei pasticci, contestava in scena Ia presenza di escrementi veri, cosa punibile per legge. Abbiamo dovuto pubblicare sul "Daily Telegraph" la ricetta della fabbricazione degli escrementi che, ovviamente, erano finti. Ma tutto cio', paragonato alla gioia per le critiche molto positive se non entusiaste (ad eccezione proprio del "Telegraph"), non mi ha preoccupato troppo.
D.: Cosa ti piacerebbe venisse evidenziato nell'allestimento italiano e pensi che "Impiccate il presidente" avra' lo stesso forte impatto sul pubblico del nostro Paese?
R..: Il mio testo puo' essere letto come una denuncia dell'apartheid, come la protesta contro la pena di morte ancora in vigore in molti stati e infine come un'analisi del rapporti di potere fra uomini. Vorrei che una di queste fosse la chiave di lettura per la messa in scena ad Asti. Alcuni mi hanno detto che la collocazione del mio dramma in Sudafrica puo' risultare difficile per l'Italia, ma io penso di anticipare quello che accadra' fra qualche anno nel nostro Paese, quando la destra prendera' posizione contro gli immigrati di colore diventati cosi' numerosi da non potere piu' essere ignorati o pesantemente discriminati. Ci saranno, come in Inghilterra, reazioni da parte dei conservatori, alcuni dei quali abbandonano il teatro, ma e' un testo che non si puo ignorare.
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